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Les lieux du patois

Rappresentare visivamente un bene immateriale, come la lingua parlata da una comunità, non è operazione immediata, anche se esistono elementi e strategie che ci consentono di raggiungere o di avvicinarci molto all'obiettivo.

La convenzione dell'UNESCO sulla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale contempla, accanto a quei beni, come la lingua, che Alberto Cerise definiva "volatili", anche altre componenti che contribuiscono a dare loro corpo e che vanno dagli oggetti associati agli spazi culturali. È il caso, per esempio, di una scultura o di un'opera artigianale che è l'espressione di un'abilità tramandatasi per generazioni, dei costumi e della scenografia di supporto all'attività teatrale, dei volti delle persone depositarie di un sapere antico e di quelli dei più giovani che con stupore lo riscoprono.

In questa ottica, l'esposizione Les lieux du patois si inserisce tra le azioni di valorizzazione della "langue du coeur" dei Valdostani ed è stata pensata all'interno della 7a Fête valdôtaine et internationale del patois, iniziativa organizzata per la'nno 2010 dall'Assessorato Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d'Aosta.

Gli autori della mostra hanno creato un percorso alla scoperta di quei contesti in cui il patois traspare, trasuda, diventa quasi palpabile e di quelle attività che con il patois costituiscono un binomio inscindibile, come il teatro in lingua francoprovenzale, l'insegnamento della Civilisation valdôtaine nelle scuole, gli sport popolari, l'artigianato di tradizione e tutte le iniziative volte alla diffusione del patois. La consapevolezza dell'importanza della "lenva" emerge, così, come un aspetto ben presente in Valle d'Aosta, l'unica regione dove il francoprovenzale vive ancora ed è in continua evoluzione.

In un clima di rinnovato interesse per le parlate locali, che ha determinato un fermento piuttosto diffuso, ma, nel contempo, in un momento delicato e cruciale per quanto riguarda il loro avvenire, l'Assessorato Istruzione e Cultura svolge un ruolo centrale e di primaria importanza, prestando attenzione alle esigenze della popolazione, promuovendo iniziative, proponendo eventi, realizzando pubblicazioni o prodotti multimediali, assicurando il proprio sostegno alle associazioni che operano con gli stessi obiettivi.

Tra eventi, storie private, lavoro e momenti culturali che rendono il patois vivo nel tempo, il Concours Cerlogne e le Journées de la civilisation, l'École populaire de patois, il Festival des peuples minoritaires, la pubblicazione dei primi volumi di una collana di audiolibri per bambini, del Dichionnero di petsou patoésan (il primo dizionario trilingue per i più piccoli) e della rivista semestrale La voix des peuples minoritaires sono alcuni dei punti forti della politica culturale dell'Assessorato, volti alla promozione e alla diffusione del francoprovenzale valdostano.

Perché sopravviva, tuttavia, è chiaro che il patois non deve rimanere confinato in una classe scolastica o nell'ambito di una manifestazione, ma deve essere praticato in tutte le occasioni e in tutti i contesti e, soprattutto, trasmesso all'interno della famiglia che rimane la principale garante della sua salvaguardia.

Nella realtà valdostna, che si sta avviando verso un modello di società multiculturale e multietnica, le persone che vogliono imparare il patois, o semplicemente avvicinarsi a questa lingua, sono sempre più numerose e con motivazioni diverse, che vanno dalla riscoperta delle proprie radici, a un'esigenza di maggiore integrazione, all'interesse personale e culturale.

Oltre alle roccaforti della lingua dei Valdostani e agli ambienti privilegiati per la sua trasmissione, il futuro del patois dovrà passare anche attraverso la categoria di nouveaux patoisants che si sta delineando e sta assumendo una sua propria fisionomia.

La mostra ha dunque una duplice valenza: da una parte vuole riscoprire e diffondere i valori identitari della nostra comunità e, dall'altra, partendo da un'analisi disincantata della società attuale, vuole protendere lo sguardo verso il futuro, perché il patois non sia sinonimo di chiusura, ma di apertura culturale e di valore aggiunto per i Valdostani.