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La parola del mese : fuoco

22 giugno 2016

Le nottate valdostane saranno, presto, accese dai tradizionali fuochi allestiti nelle zone di montagna e dedicati, secondo la località, a San Giovanni Battista o ai Santi Pietro e Paolo[1].

Tradizionalmente, erano i giovani del paese a preoccuparsi di realizzare la pira. Raccoglievano, mediante donazione o furto autorizzato, ogni genere di materiale combustibile e sceglievano un luogo adatto, esposto e ben visibile e allo stesso tempo lontano dalla vegetazione.[2]

L'accensione di questi falò estivi ha suscitato, nel tempo, l'interesse di molti studiosi, incuriositi dal ritrovamento delle stesse pratiche in luoghi e tempi diversi e distanti. Si ritrovano, in effetti, simili cerimoniali un po' ovunque in Europa e nel bacino del Mediterraneo.[3]

Si tratta di pratiche antichissime, risalenti sicuramente a un periodo anteriore alla diffusione del cristianesimo. Nel celebre saggio Il ramo d'oro, l'antropologo inglese James Frazer cita, a riprova di ciò, testimonianze dell'VIII secolo di tentativi da parte della Chiesa di abolire tali tradizioni perché considerate pagane.[4] Non bisogna, quindi, lasciarsi trarre in inganno da quella che lo stesso Frazer definisce "la leggera tinta cristiana" data dal nome dei santi.

Secondo l'etnologo Arnold Van Gennep[5], tali rituali rientrano nella categoria dei cosiddetti "fuochi ciclici", legati, cioè, a particolari periodi dell'anno. Nella fattispecie dei nostri falò, si tratta di cerimoniali appartenenti al ciclo che va dalla festa di San Giovanni Battista (24 giugno) a quella dei Santi Pietro e Paolo (29 giugno), periodo particolarmente importante per l'economia tradizionale, perché coincidente con il solstizio estivo e con l'inizio della stagione agricola.

Al centro di tali pratiche c'è il fuoco nella sua duplice veste di elemento purificatore, in grado di scacciare male e calamità dalla terra, e propiziatore, capace di garantire la fertilità dei terreni.

Secondo alcune interpretazioni, il fuoco sarebbe addirittura un simulacro del sole e i falò "incantesimi solari"[6], usati per influenzare il tempo e la vegetazione, grazie alla somiglianza con l'astro.[7]

Spostando l'attenzione dai grandi studiosi alla cultura popolare, ritroviamo altre teorie eziologiche circa la tradizione dei fuochi. C'è chi la lega alla grande peste del Seicento e alla necessità di "contare" i sopravvissuti sulle montagne. C'è chi, invece, ne dà una spiegazione più pragmatica: il fuoco sarebbe servito a eliminare insetti nocivi per i raccolti.[8]

Accanto a quella interpretativa, vi è, poi, una questione linguistica altrettanto affascinante. I vari patois valdostani hanno, infatti, coniato diverse denominazioni per indicare i falò. Quelle di più immediata comprensione appartengono al tipo fouà de Sen Djouàn/de Sen Piére, fuochi di San Giovanni/San Pietro, che si ritrovano in molte località intorno al bacino di Aosta (riportate da patoisant di Charvensod e Gressan, ad esempio), ma testimoniate anche a Introd.

Altre denominazioni, invece, hanno una storia più particolare. Si tratta dei nomi del tipo boudéra (Brusson), abédole (Ayas), bouidèrotsi[9] (Champorcher), budoe/abudoe[10] (Arnad), bedderouve[11] (Champdepraz), diffusi nella Bassa Valle, e bedouye (Saint-Marcel), booudouye (Fénis), bideuye (Verrayes), attestati nella località della Media Valle[12]. L'etimologia farebbe risalire tali termini alla radice germanica *BALD[13], "audace", la stessa all'origine dell'antico francese bald, "felice", e delle parole italiane "baldanza", "baldoria" e "baldo". Tali denominazioni, quindi, andrebbero a sottolineare il carattere gioioso della tradizione (non a caso, il francese utilizza l'espressione feux de joie, "fuochi di gioia").

Altri tipi lessicali reperibili nella nostra regione sono farandouye[14], flandouye[15], presenti, ad esempio, nelle parlate di Fontainemore e di Brissogne e Quart. In questo caso, la motivazione del termine sembra legata al colore del fuoco. In effetti, tali denominazioni ci portano all'etimo greco PHAROS[16], letteralmente "faro", che ha dato origine, con tutta probabilità, anche all'aggettivo énfarà, "rosso, infiammato", presente, ad esempio, nella parlata di Brusson.

Ulteriori termini interessanti, infine, sono flamayoù (Etroubles) e fasella (Fontainemore). Per quanto riguarda il primo, il rinvio è, probabilmente, alla fiamma. Per il secondo, invece, l'etimologia è più incerta; potrebbe trattarsi di un riferimento alle fascine utilizzate per allestire i falò o all'azione di affastellare materiali da incendiare.

Ad ogni modo, guardandovi intorno nelle notti del 24 o del 29 giugno e ammirando le montagne costellate di falò, ricordate quanta storia possa nascondere una tradizione apparentemente tanto spontanea e semplice.

RES



[1] È probabile che la dedica ai Santi Pietro e Paolo sia più recente rispetto a quella a San Giovanni. Van Gennep (1949) cita numerosi esempi di slittamento di data motivata da ragioni di opportunità. Si veda a questo proposito BETEMPS, A. (2010) Traditions populaires. In AA.VV. Saint-Christophe (pp. 295-317). Saint-Christophe: Tipografia Duc.

[2] BETEMPS, A. (2010) Traditions populaires. In AA.VV. Saint-Christophe (pp. 295-317). Saint-Christophe: Tipografia Duc.

[3] FRAZER, J. (1922). The Golden Bough. A study in magic and religion. Vol II. London: Mcmillan (trad. it. Il ramo d'oro. Studio sulla magia e la religione, Boringhieri, Torino, 1973). 935

[4] Ibid.

[5] VAN GENNEP, A. (1949) Manuel du folklore français contemporain. Tome premier. VoI.4. Paris : A. et J. Picard.

[6] FRAZER. Op. cit.994

[7] Tale spiegazione è rifiutata da Van Gennep (Op. cit. p. 1922) che ritiene si tratti di una lettura troppo "civilizzata" per una pratica decisamente più "primitiva".

[8] MUNIER, L. (1986). Les feux de joie. Folklore suisse. Bulletin de la Société suisse des Traditions populaires, 76 année, 57-59.

[9] GLAREY, M. (2011). Dictionnaire du patois de Champorcher. Saint-Christophe : Tipografia Duc.

[10] Bureau Régional pour l'Ethnologie et la Linguistique - Région Autonome Vallée d'Aoste, Atlas des patois valdôtains, in corso di realizzazione.

[11] MUNIER. Op. cit.57-59.

[12] Ibid.

[13] FEW XV/I 32

[14] CHENAL, A. VAUTHERIN, R. (1997). Nouveau dictionnaire de patois valdôtain. Quart: Musumeci éditeur.

[15] MUNIER. Op. cit.57-59.

[16] FEW VIII 368b