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La parola del mese: i piccoli frutti

18 settembre 2017

L'estate è arrivata ormai al termine, ma il bosco, in questo periodo, è capace ancora di regalarci alcuni piccoli capolavori. Sicuramente, gli amanti delle passeggiate e della maraude sanno già di che cosa stiamo parlando: mirtilli, ribes e altre bacche che giungono a piena maturazione proprio ora e si offrono agli estimatori in tutta la loro bontà.

Dedichiamo, dunque, lo spazio di questo mese alle tante parole che i patois valdostani usano per denominare i piccoli frutti che crescono - ahimè, sempre meno - nei nostri boschi.

Iniziamo da quelli che, forse, sono in assoluto i piccoli frutti più buoni e salutari: i mirtilli. Ormai per trovarli è necessario salire in alta montagna, poiché negli anni sono stati oggetto di una "spietatissima" caccia nei boschi a bassa quota.

Anche dal punto di vista linguistico, la piccola bacca si rivela molto preziosa. In effetti, per definirla, i francoprovenzali valdostani hanno coniato termini vari e molto originali, che si discostano completamente dalle altre lingue.

Per schematizzare, è possibile dividere la Valle in tre aree: l'alta Valle dove troviamo le denominazioni riconducibili al tipo loufie; la media Valle dove troviamo ambrocalle; la bassa Valle con il tipo brevaco. [1]

Per quanto riguarda l'origine di questi termini, il tipo loufie dovrebbe essere riconducibile al latino LIGUSTRA[2], come il lloutra di Cogne. L'alta Valle avrebbe subito l'influenza dei patois savoiardi, dove troviamo il tipo loutra[3], ma è da notare che esiti simili si trovano anche in Piemonte (lohtrie a Ronco Canavese, solo per fare un esempio)[4].

Anche la media Valle avrebbe condiviso una soluzione di area francese: l'Atlas linguistique de France (ALF) riporta per diversi punti di inchiesta ambrezali, amborzali, che secondo il celebre linguista Jud sarebbero da mettere in relazione con i termini valdostani[5]. Lo studioso offre anche un'ipotesi circa l'origine di tali termini: sarebbero da ricondurre a un diminutivo del termine gallico brucu, lo stesso che è all'origine di brughiera[6].

Un altro frutto che ha una storia interessante dal punto di vista linguistico è il ribes. Scorrendo il glossario online troviamo rezén a bram a Perloz, rezeun a bran a Introd, rezén abràm a Champorcher, rézèn d'abràm a Pontboset. Si tratta di denominazioni particolari, molto simili tra loro, se non fosse che per il modo di scriverle. Come succede spesso nelle lingue vive, in alcuni patois si è perso il senso della denominazione - letteralmente "uva a rami" - è si è attribuita la "proprietà" del frutto ad Abramo...

Accanto a questi tipi lessicali, citiamo per completezza di informazione grezeuille dell'alta Valle, simile al francese groseille, e il rujùn éro, attestato ad Ayas e Brusson, letteralmente "uva acida".

Proseguendo nella nostra esplorazione del sottobosco scopriamo, poi, il mirtillo rosso di montagna (il vaccinium vitis-idaea), meno noto rispetto al parente blu, ma altrettanto salubre. Questa piccola bacca trova in Valle d'Aosta un'infinità di denominazioni, come se ogni località avesse voluto battezzarla a modo suo!

In alta Valle troviamo il tipo gralón, grelón. Denominazioni simili si trovano a Cogne, gravelòn, nella valle di Champorcher, gravalón, gravèirón, e a Issogne, gravalón. A Gaby si dice gréiva e a Donnas e Hône grive.

Il tipo maléroù, marédoue, invece, è attestato a Montjovet, Challand-St-Anselme e Ayas. A Brusson troviamo, al contrario, marguéyón, molto simile alla denominazione che i patois della valle di Valtournenche danno al bulbocastano.

Infine, abbiamo mélioù nella media Valle (Chambave; Saint-Denis, Verrayes), orezeu a Fontainemore, rezeun de l'ors a Brissogne, coilleette a Charvensod e fouyouze a Chambave.

Concludiamo questo breve excursus con un altro frutto poco noto, quello del sorbo degli uccellatori. Dalle piccole bacche si ricava un'ottima marmellata, soprattutto se si raccolgono dopo la prima gelata.

Dal punto di vista linguistico, la Valle d'Aosta appare divisa in due rispetto alle denominazioni della pianta. Abbiamo, infatti, un'area che va da Chambave verso l'alta Valle dove troviamo il tipo lessicale fréno verguéleun, letteralmente "frassino da verga", con riferimento probabile alla flessibilità del legno.

Il resto della media Valle e la bassa Valle hanno, invece, adottato il tipo temé, toumé. Per quanto riguarda l'origine di questo termine, sarebbe un continuatore del latino *TEMELLUS, "sorbo degli uccellatori"[7].

Il termine, inoltre, si ritrova anche qua e là nell'area dominata da tipo fréno verguéleun, come ad esempio a Valgrisenche e a Cogne. dove è attestato teméi. Ma non solo: si tratta dello stesso nome utilizzato anche dai francoprovenzali del Piemonte e dai provenzali alpini.[8] Il che fa supporre l'esistenza di una base comune per queste aree.[9]

Potremmo prendere in considerazione altre mille parole, ma non vorremmo essere prolissi! Preferiamo invitarvi a navigare all'interno del Glossario online per fare una passeggiata virtuale nei nostri boschi...

[1] FAVRE S., PERRON M. (1989). L'atlas des patois valdôtains. Essai de cartographie et d'analyse linguistique. IN : Nouvelles du Centre d'Études Francoprovençales « R. Willien » n° 20/1989. pp. 15-29.

[2] Id. ibid.

[3] Id. ibid.

[4] JUD J. (1926). Mots d'origine gauloise ? In: Romania, tome 52 n°207, 1926. pp. 328-348. http://www.persee.fr/doc/roma_0035-8029_1926_num_52_207_4259

[5] Id. ibid.

[6] Id. ibid.

[7] VON WARTBURG, W. (1922 ss.). Französisches Etymologisches Wörterbuch (FEW). Bâle: Zbinden. Vol. XIII/1, 166/b.

[8] RAIMONDI G. (2006) La fitonimia nello spazio linguistico francoprovenzale. In: Nouvelles du Centre d'Études Francoprovençales « R. Willien » n° 53/2006. pp. 49-67.

[9] Id. ibid.