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La parola del mese: la sinagoga

09 novembre 2017

[...] & iqui tote gàye

Drieu & resolacié sen queiton ou debat

Tenon lour sinagoga & lour petit sabat[1]

Laurent de Briançon. Lo banquet de le faye. XVI sec.[2]

Il mese di novembre, nei paesi di cultura cristiano-cattolica, si apre con la festa di Ognissanti, seguita dalla commemorazione dei defunti. Negli ultimi decenni, tuttavia, questa ricorrenza a carattere religioso è stata affiancata - e, presso le nuove generazioni, forse addirittura soppiantata - da una tradizione di origine anglosassone. Stiamo parlando, evidentemente, di Halloween, festa che riscuote un successo crescente e che si propone, attualmente, come una sorta di carnevale autunnale a tema spettrale...

Con tutta probabilità, la tradizione affonda le sue radici in un'antica credenza celtica secondo la quale, in questo periodo dell'anno, i morti sarebbero stati in grado di tornare sulla Terra, insieme a streghe e demoni. Travestimenti e fuochi rappresentavano l'unico modo per difendersi da tali influenze malefiche.

Al di là della leggenda, il mese di novembre rappresenta una fase di transizione, di passaggio dall'estate all'inverno, periodo molto delicato per le antiche società rurali che si trovavano a tirare le somme dell'annata agraria.

Simbolicamente, quindi, ben si presta a diventare il momento in cui i due mondi, quello dei vivi e quello dei trapassati, possono venire in contatto. E in effetti anche presso la cultura romana e, successivamente, presso quella cristiana, come dicevamo in apertura, troviamo celebrazioni dedicate proprio al culto dei morti.

Per quanto riguarda l'area alpina, oltre alla festa cristiana di novembre, possiamo rinvenire credenze legate al superamento (presunto) del confine tra aldiquà e aldilà. Queste si estendono durante tutto l'anno e cercano di coniugare, in qualche modo, l'aspetto religioso e quello superstizioso, almeno a livello popolare.

Per quanto riguarda la Valle d'Aosta esistono almeno due leggende di questo genere. La prima è quella relativa ai revenàn, coloro che ritornano. Secondo la credenza popolare, infatti, per le anime c'è la possibilità di lasciare "provvisoriamente l'aldilà"[3] per visitare il mondo dei vivi.

A volte, si tratta di arme eun péna che cercano di espiare qualche colpa.[4] Tuttavia, non sempre l'incontro con queste anime è spaventoso. Spesso, infatti, si tratta di boune-z-arme che hanno uno scopo nobile: aiutare in qualche modo i propri cari o punire qualche misfatto. Utilizzando le parole di Alice Joisten e Christian Abry - che hanno dedicato un'intera opera all'immaginario alpino - "[les revenants] expriment la croyance à une solidarité fondamentale entre les vivants et les morts".[5]

Sempre spaventosa, al contrario, è la seconda credenza di cui ci occupiamo in questo spazio: quella della sinagoga, sorta di sabba alpino a cui parteciperebbe ogni specie di essere demoniaco e che si caratterizzerebbe per il frastuono prodotto.

Prima di avventurarci nelle leggende fiorite attorno a questa superstizione, va fatta una premessa circa il termine utilizzato. Si tratta, infatti, del nome che la maggior parte delle lingue utilizza per indicare il luogo di culto degli ebrei e che deriva dalla parola greca synagoge, "riunione, assemblea".[6] Secondo una teoria, l'uso peggiorativo di questa parola ci riporta all'epoca medievale e alla persecuzione delle sette eretiche, tra le quali figurava anche la setta degli Ebrei.[7]

Tornando alla descrizione di questa sinagoga, dicevamo a proposito del frastuono che è tratto comune di tutti i racconti.[8] Si tratta di una caratteristica tanto condivisa da aver fatto assumere al termine sinagoga anche il significato metaforico di situazione in cui molte persone parlano contemporaneamente e non si capisce nulla.

D'altra parte, il dialettologo Tullio Telmon[9] ci ricorda che i principali vocabolari della lingua italiana, a partire dal XIX secolo, riportano per il termine "sinagoga" anche l'accezione di luogo di confusione, chiasso, frastuono. Un significato, questo, da ricondurre ancora una volta ad un uso discriminatorio del termine e a uno stereotipo relativo alla religione mosaica.

Il rumore del corteo diabolico può assumere caratteristiche diverse: talvolta si tratta di scampanellii, talvolta di versi animali, talvolta di un baccano prodotto da oggetti di metallo, altre volte invece è una musica che invita pericolosamente alla danza.[10]

Rispetto ai "personaggi" che popolano queste assemblee, poi, la fantasia popolare si è sbizzarrita. Sono sempre presenti le streghe, sorchie in alta e media Valle o arèdje in bassa Valle (dal latino HAERETICUS, eretico)[11]. Accanto a queste, talvolta troviamo il diavolo in persona, accompagnato da animali tradizionalmente considerati malefici come gatti, caproni, rospi...[12]

Tuttavia, il grosso della "combriccola" è costituito da persone insospettabili, uomini e donne dalla doppia vita che, spesso, è possibile riconoscere, a dispetto del travestimento adottato[13] (anche se, poi, è altamente sconsigliato rivelarne il nome, pena la vendetta).

I testimoni oculari di tali manifestazioni diaboliche sono, quasi sempre, dei malcapitati, passati, per caso o per necessità, per qualche luogo isolato e di notte.[14] È evidente, quindi, il legame con le grandi paure ataviche dell'uomo che rinviano a un passato in cui il buio, la solitudine e l'isolamento potevano essere fatali.

Come salvarsi da questi esseri malefici? Naturalmente ricorrendo alla religione e chiedendo l'aiuto del buon Dio, per esempio recitando una preghiera.[15] Oppure, avendo la cura di portare sempre con sé una pelle di serpente, il cui potere magico e taumaturgico è ampiamente riconosciuto dalla tradizione.[16]

Sappiamo bene che la sinagoga non è l'unica credenza alpina in cui compaiono esseri malefici. Le leggende, infatti, sono numerosissime, tanto da far dire a due ricercatori svizzeri che "le streghe hanno un paese: le Alpi"[17].

[1] E qui tutte gaie/ gagliarde e sollazzate senza questioni o dispute/ tengono la loro sinagoga e il loro piccolo sabba.

[2] TUAILLON G. (1995). Ecriture de l'accent de mot dans les premières œuvres imprimées en francoprovençal. In : AA. VV (1995). La transcription des documents oraux - problèmes et solutions. Actes de la Conférence annuelle sur l'activité scientifique du Centre d'Etudes Francoprovençales « René Willien » de Saint-Nicolas. Quart : Musumeci. pp. 107-120.

[3] BETEMPS A. (1955). Les revenants. In : « Nouvelles du Centre d'Études Francoprovençales R. Willien » n° 31/1995. pp. 128-134.

[4] BETEMPS A. (1955). Op. cit.

[5] JOISTEN A., ABRY C. (1995). Etres fantastiques dans les Alpes. Extraits de la collecte Charles Joisten (1936-1981). Paris : Editions Entente. p.183.

[6] VON WARTBURG, W. (1922 ss.). Französisches Etymologisches Wörterbuch (FEW). Bâle: Zbinden. Vol. XII, 493 a e b.

[7] JOISTEN A., ABRY C. (1995). Op. cit. p. 147

[8] Id. pp. 148-150

[9] TELMON T. (1996). "Sinagoga" nei dialetti alpini. In : AA.VV. (1996). Les êtres imaginaires dans les récits des Alpes. Actes de la Conférence annuelle sur l'activité scientifique du Centre d'Etudes Francoprovençales « René Willien » de Saint-Nicolas. Quart: Musumeci. pp. 147-155.

[10] BETEMPS A. (1994), Le conte de tradition orale dans le Val d'Aoste : l'univers magique. In: « Nouvelles du Centre d'Études Francoprovençales R. Willien » n° 29/1994. pp. 81-85 e JOISTEN A., ABRY C. (1995). Op. cit. p. 148-150.

[11] VON WARTBURG, W. (1922 ss.). Op. cit. Vol. IV, 374b e 375a.

[12] BETEMPS A. (1994). Op. cit.

[13] Id. ibid.

[14] Id. ibid.

[15] Id. ibid.

[16] PHILIPPOT l. (1996). Du serpent à la fée. In : AA.VV. (1996) Op. cit. P. 111-121.

[17] OSTORERO M. e PARAVICINI BAGLIANI A. (1999). Les sorcières ont un pays : les Alpes In « L'Histoire ». n.  238/1999. pp. 23-24.