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Rémy Boniface

La lingua la parlo, la canto e la scrivo anche quando invio messaggi sul telefono!

La mia terra e le mie origini

Mi chiamo Rémy Boniface e sono nato a Aymavilles. A dire il vero, sono nato all’ospedale di Aosta,alla vecchia Maternità, il 4 novembre del 1974.

Papà e mamma, entrambi di Aymavilles, mi hanno parlato da subito italiano e di ciò ancora non sodarmi risposta conoscendoli e conoscendo soprattutto il loro impegno per il patois.

I miei genitori, tutti e due con il patois come lingua materna, hanno pensato di parlarmi italiano e,tra di loro, comunicavano in patois.


"Che strana cosa!"


A volte penso : forse mamma, che era insegnante, aveva ancora in testa certe sciocchezze per le quali chi parlava patois avrebbe avuto meno successo a scuola…ma non può essere questa la ragione perché io mamma e il suo amore per il patois lo conosco bene e l’ho condiviso più tardi nel tempo.


Da piccolo, quando mamma ha dovuto ritornare al suo lavoro a scuola e anche prima, si occupava di me la bisnonna Maria, nonna di mamma e lei mi parlava patois, il patois di Vieyes con tutte le desinenze in “a : non, giù, cantato”, mentre in capoluogo le desinenze sono in “o” per le stesse parole.
Riconosco che avevo una certa qual confusione in testa!

Quando poi sono andato all’asilo, a tre anni, l’italiano era l’unica lingua di comunicazione : le monache che gestivano la scuola provenivano dall’Abruzzo e capivano unicamente l’italiano e ai bimbi che frequentavano l’asilo e parlavano solo patois, che, a quei tempi, erano numerosi, dicevano :

“Parla tricolore ché non ti capisco!”.


Eravamo una bella banda della stessa età e, all’epoca, il tempo libero lo trascorrevamo sempre all’aperto, lungo i sentieri, le strade, in bicicletta o in slitta a seconda delle stagioni; sempre a giocare in gruppo ed è proprio così che ho iniziato a parlare patois, grazie ai miei compagni.
Dopo dodici anni, nel 1986, è nato mio fratello Vincent e a lui hanno sin da subito parlato patois,così mi sono impratichito e la conoscenza della lingua ha preso maggior vigore.
Vista la differenza d’età, mi occupavo spesso di mio fratello anche per dare sollievo ai miei genitori…gli cambiavo persino il pannolino!
Un grande aiuto per imparare meglio la lingua sono stati gli sport tradizionali. Ho giocato per alcuni anni alla “rebatta” e ai “palet”: in quell’ambiente la lingua di comunicazione era unicamente il patois, sia nel gioco che durante le merende prolungate che seguivano le partite.
Nel tempo, grazie alla mia famiglia, ho preso coscienza di tutto ciò che lega la lingua con la nostra identità, la nostra cultura, le nostre tradizioni e questo l’ho capito ancor meglio attraverso la musica.

A sette anni ho iniziato i corsi per imparare a suonare il violino. Da tempo suono pure la
fisarmonica diatonica e la ghironda: oggi la musica è il mio lavoro. È un lavoro che, come dice mio fratello Vincent quando insegniamo, non riempie più di quel tanto il portafoglio, ma riempie abbondantemente il cuore a noi che la proponiamo e a quelli che ci ascoltano, ci auguriamo.
L’anno scorso, 2019, ho deciso di partecipare al corso di formazione per diventare insegnante di patois. È stata un’esperienza entusiasmante che mi ha permesso di conoscere meglio la lingua che parlo e che oggi, con fierezza, posso dire che è la mia lingua.
La parlo prestando molta attenzione a non inquinarla, la canto e la scrivo, anche quando invio messaggi sul telefono!

Lessico famigliare e proverbi e espressioni ricorrenti

Se hai la fortuna di nascere in una famiglia in cui la musica è vita, il problema di sentir cantare o suonare non si pone.

Era soprattutto papà a cantarmi le ninne nanne; mi cantava sempre “Dor mèinà”, una composizione scritta da Luis de Jyaryot per sua figlia che ha la mia stessa età.

Sempre papà mi narrava una storia che aveva inventato lui apposta per me : “La rana di Turlin” e faceva persino tutti i versi dei vari personaggi. Era la storia che amavo più di tutte le altre stampate sui libri ed è pure la storia che mi ha salvato da un grande spavento che mi prese il giorno in cui papà si fece tagliare la barba.

Io papà l’ho sempre visto con la barba e, un bel giorno, è rincasato perfettamente rasato; via la barba e via persino i baffi.

Io ero già a letto e non lo vidi subito. Avevo l’abitudine, a metà della notte, di abbandonare la mia cameretta e, con il cuscino sotto il braccio, di trasferirmi nel lettone di mamma e papà. Quella notte non lo riconobbi e scoppiai in lacrime. Niente serviva a consolarmi. Poi papà ha iniziato a raccontarmi la sua solita storia della rana e lì ho riconosciuto la sua voce, per fortuna.

Credo che, come a tanti, a volte la vita presenti dei conti scomodi da gestire e dunque il modo di dire che uso spesso è :

“Porta pazienza, Rémy!”

In famiglia, il proverbio che sento evocare spesso e che abbiamo ereditato da nonna Ninetta, la mamma di papà, è il seguente : “Ten pe ten la caille tsante” …lasciamo scorrere le acque torbide e le brutte stagioni perché la primavera tronerà a cantare per portarci nuove speranze.