Il patois è una parlata francoprovenzale, lingua neolatina che, con la langue d'oïl, vale a dire il francese, e la langue d'oc, il provenzale o occitano, compone il gruppo linguistico chiamato galloromanzo. La definizione di francoprovenzale risale al fondatore della dialettologia italiana, Graziadio Isaia Ascoli, e si spiega, secondo l'autore, per il fatto che questa lingua possiede alcuni caratteri comuni al francese e altri comuni al provenzale, conservando tuttavia la propria individualità e indipendenza nei confronti della langue d'oïl e della langue d'oc.
Il francoprovenzale può essere considerato un protofrancese, vale a dire un francese a uno stadio primitivo, estremamente arcaico, che ha rifiutato alcune innovazioni provenienti dal Nord. In effetti, il francoprovenzale ha seguito inizialmente l'orientamento delle parlate del Nord, di Parigi ad esempio, ma, a partire da un dato momento, non ha più accettato le innovazioni linguistiche della langue d'oïl. Alcuni fatti storici hanno contribuito alla formazione di questa lingua: l'area francoprovenzale, attorno all'asse Lione-Ginevra e sotto l'influsso del suo centro più importante Lione, ha vissuto una fase di marginalizzazione progressiva.
La separazione tra langue d'oïl e francoprovenzale avrebbe dunque avuto inizio alla fine dell'epoca merovingia o all'inizio di quella carolingia: a partire da quel momento, il francoprovenzale è ha acquisito caratteristiche di conservatività, mentre il francese ha proseguito nella sua evoluzione, anche in relazione ai cambiamenti demografici importanti che hanno interessato la Gallia del Nord. L'origine e il destino del francoprovenzale sono sempre stati strettamente legati alla sorte della sua capitale storica, Lione, capitale della Gallia e centro di irradiamento linguistico.
Il francoprovenzale, inoltre, non possiede quelle caratteristiche che hanno permesso ad altri idiomi di avere un'individualità più marcata: in effetti, non ha mai coinciso con un'entità politica, non ha mai conosciuto un momento di unificazione, non ha mai posseduto una koinè, vale a dire una lingua comune al di sopra delle varietà locali. In più, verso la fine del Medioevo, quando Lione perde il suo ruolo politico permettendo a ogni regione di evolversi liberamente, la frammentazione linguistica di queste parlate si accentua ulteriormente. Si tratta dunque di una lingua che si presenta sotto forma di una miriade di parlate, che si trova ad uno stato dialettale perfetto, che non esiste , in altri termini, se non nella grande varietà dei suoi patois.
L'area francoprovenzale comprende oggi tre Stati; è dunque molto eterogenea dal punto di vista politico ed è sprovvista delle caratteristiche proprie ad una nazione: gli si assegnano dei confini a puro titolo di definizione.
Definire i limiti geografici di quest'area è, tuttavia, un'operazione affatto semplice, in quanto questi sono spesso sfumati e variabili. Ciononostante, l'analisi dei tratti comuni a questa famiglia linguistica ha condotto a una delimitazione articolata in tal modo:
la Valle d'Aosta, fatta eccezione che per i tre comuni germanofoni della vallata del Lys, Gressoney-la-Trinité, Gressoney-Saint-Jean e Issime;
la Svizzera romanda, eccetto il Jura bernese e, più precisamente, i cantoni di Neuchâtel, Vaud, Ginevra, Friburgo e Vallese;
la Savoia e l'Alta Savoia, il Lionese, il Delfinato settentrionale (Grenoble e Vienne), una parte della Franche-Comté, il Bugey e la metà meridionale della Bresse;
le vallate del Piemonte occidentale nella provincia di Torino: la Val Sangone, la Val di Susa (media e bassa valle), la Val Cenischia, la Valle di Viù, la Valle d'Al, la Val Grande, la Val Locana e la Val Soana;
le due colonie allofone della provincia di Foggia in Puglia, Faeto e Celle di San Vito, il cui insediamento risale probabilmente tra la fine del XIII° secolo e l'inizio del XIV° e la cui patria originaria, a seguito dell'analisi comparata dei tratti linguistici, si situerebbe a est di Lione, nel Bugey
Perché si parla francoprovenzale in Valle d'Aosta?
Nelle Alpi Occidentali, la latinizzazione delle Gallie ha oltrepassato lo spartiacque che separa il bacino del Rodano da quello del Po e dei suoi affluenti. Le lingue parlate nelle vallate montane del territorio compreso tra il col di Tenda e il Monte Rosa non si collegano alla latinizzazione che ha prodotto il piemontese, ma a quella che ha originato la langue d'oc e il francoprovenzale[1].
Il fatto che le parlate galloromanze siano arrivate sul versante orientale delle Alpi ha creato un continuum dal punto di vista geolinguistico, riunendo le popolazioni al di qua e al di là di una catena montuosa pur così imponente.
La spiegazione del fenomeno risale al periodo in cui queste lingue si sono formate e, più precisamente, al 575, anno in cui Gontran, re merovingio di Borgogna e della regione d'Orléans, dopo aver scacciato i Longobardi dalla Provenza, preparò una nuova spedizione militare. I Longobardi preferirono allora negoziare e riconobbero l'autorità dei Franchi sulla Valle d'Aosta e sulla Valle di Susa, territori con colli strategicamente molto importanti, così come sulle alte valli del Po e dei suoi affluenti, fino al col di Tenda. A partire da questa data, la Valle d'Aosta condivise la sorte delle Gallie e Pont-Saint-Martin divenne il limite tra le parlate delle Gallie e quelle dell'Italia del Nord, il grande confine tra il francese e l'italiano.
Il feudalesimo consacrò l'esistenza di questa comunità, che oggi potremmo definire transfrontaliera, e Casa Savoia, da parte sua, gettò le basi per uno Stato regnante su entrambi i versanti. Questa situazione è perdurata fino al 1860-1861, con l'annessione della Savoia alla Francia e l'Unità d'Italia: la barriera delle Alpi occidentali diventa da questo momento una frontiera di Stato.
[1] Cf. Tuaillon, Gaston, Le francoprovençal dans le bassin du Pô, « Nouvelles du Centre d'Études Francoprovençales René Willien » 48, 2003, pp. 6-17.
Qualcuno ha affermato che in Valle d'Aosta ci sono tanti patois quanti sono i campanili: in effetti, la variabilità linguistica è molto marcata e spesso, anche all'interno di uno stesso comune, si possono attestare due o più varianti, sia sul piano fonetico che sul piano lessicale e morfosintattico.
Ciononostante, è possibile suddividere la nostra regione in due grandi aree linguistiche, l'alta Valle e la bassa Valle, rispettivamente, il settore occidentale e il settore orientale. La prima è quella che più ha risentito dell'influenza dei patois savoiardi o vallesani, attraverso i colli del Piccolo e del Gran-San-Bernardo. Intorno alla città di Aosta si riscontra anche un influsso del francese, lingua ufficiale. La seconda si trova all'estremità orientale dell'area francoprovenzale ed è, da un lato, l'area più conservativa, avente i tratti più arcaici, e dall'altro, quella che ha risentito dell'influenza del piemontese. In molti comuni della bassa Valle, il piemontese coabita con il patois e, in certi casi, come ad esempio a Pont-Saint-Martin, l'ha soppiantato.
Un esempio che illustra in modo chiaro questa realtà è rappresentato dalle designazioni della volpe. Il francese antico, per indicare la volpe, utilizzava la parola goupil, dal latino popolare vulpiculus. A partire da XIII° secolo, grazie al successo del Roman de Renart (Renart era un nome di persona attribuito a una volpe molto astuta), renard ha soppiantato l'antico goupil per diventare la designazione corrente per questo animale. L'alta Valle ha seguito il modello del francese e ha adottato il termine renard, mentre la bassa Valle ha conservato la variante più arcaica, gorpeui. La separazione tra queste due aree linguistiche non è ovviamente rappresentata da una linea netta, ma piuttosto da una zona mediana di transizione dove passa il fascio di isoglosse.
Le designazioni del mirtillo nero presentano, invece, una Valle d'Aosta divisa in tre zone, con tre tipi lessicali differenti : loufie nell'alta Valle, ambrocalle nella media Valle e brevaco, con numerose varianti fonetiche, nella bassa Valle. Le parlate valdostane hanno conservato molti elementi di sostrato prelatino, giunti fino a noi dalla notte dei tempi. Si tratta di parole di origine celtica, o attribuite dai linguisti ad una base celtica - come blètsì ‘mungere', modze ‘giovenca', barma ‘grotta, riparo naturale sotto una roccia', bren ‘crusca della farina', verna ‘ontano', breuill ‘piano lacustre, paludoso', baou ‘stalla' - o parole preceltiche, come brenva ‘larice', daille ‘pino silvestre', bèrio ‘grossa pietra, roccia'.
È la toponomastica che ha conservato maggiormente termini prelatini, soprattutto per quanto riguarda i nomi delle montagne e dei corsi d'acqua: il radicale dor ‘acqua corrente' è all'origine del nome della Dora; il radicale calm, latinizzato in calmis, è diventato tsa nei nostri patois, prendendo il significato di ‘pascolo elevato, soleggiato', o ‘stazione più elevata di un alpeggio'.
Nella loro grande varietà, i patois valdostani presentano un'unità di fondo che li inserisce nrl quadro delle parlate francoprovenzali, con elementi che sono spesso in opposizione con il francese e l'italiano. Per indicare i giorni della settimana, il patois si serve di formazioni del tipo dies lunae ‘il giorno della luna', dies martis ‘il giorno di Marte', ecc. che hanno portato a deleun, demars ecc., contro il tipo lunae dies, martis dies,ecc., del francese e dell'italiano che hanno dato lundi, mardi, ecc., e lunedì, martedì, ecc. Per la designazione del natale, il patois utilizza la parola tsalende o tchalénde, dal latino calendæ (Noël e Natale risalgono al latino (dies) natalis ‘il giorno della natività'). Per i Latini, le calende erano il primo giorno di ogni mese e dunque anche dell'anno ; nell'VIII° secolo, l'inizio dell'anno fu fissato a Natale, da qui l'impiego di questo termine per designare la festa stessa.