Fino al secondo dopoguerra, in gran parte della regione la coltura dei cereali, sebbene in crisi, era ancora abbastanza diffusa, malgrado le difficoltà nella lavorazione dovute alla morfologia impervia dei terreni. Essa occupava quasi la metà della superficie coltivabile dove i campi di segale si estendevano fino ai 2000 m d’altitudine, poiché questo cereale così rustico è caratterizzato da una resistenza elevata sia al freddo che alle erbe infestanti e da una maturazione precoce.
Ogni villaggio di alta e media montagna era sorretto da un’economia di sussistenza e caratterizzato da un equilibrio autonomo: i contatti con il mondo esterno erano ridotti al minimo. Il forno frazionale, alcuni mulini ad acqua e i torchi permettevano la lavorazione in loco dei prodotti agricoli, assicurando un’autonomia alimentare certa.
Fare il pane era una necessità perché le persone che abitavano questi villaggi erano numerose e nello stesso tempo era anche una festa, un’occasione di ritrovo della comunità, un’esperienza che veniva condivisa da tutti, anziani e più giovani. I bambini, in modo particolare, aspettavano questo evento perché per loro si facevano le flantse.
Il pane si cuoceva una sola volta durante l’anno ed era consumato con parsimonia, senza sprechi, economizzando per farlo durare fino alla successiva panificazione.
A testimoniare, ancora una volta, l’osservanza della fede cristiana della popolazione valdostana, citiamo dei rituali religiosi legati al pane e alla semina del grano: con il rastrello di ferro si tracciava una croce in mezzo al campo e, se crescevano frassini nelle vicinanze, se ne utilizzavano i rami per fare una croce e conficcarla nel terreno. Ci si affidava al Buon Dio per avere un buon raccolto.
Prima di cuocerlo, il pane veniva marchiato con il segno della croce e poi, prima di tagliarlo e consumarlo, lo stesso segno veniva ripetuto con le mani o con il coltello: due usanze che sono ancora oggi praticate.
Per la buona riuscita del pane alcuni fattori incidevano in modo particolare: la stanza riscaldata e attrezzata, le materie prime utilizzate e la loro conservazione.
L’arredamento del locale era essenziale: una stufa per riscaldare l’ambiente e una bella madia, che era come una grossa cassa di legno e che serviva per mescolare l’acqua e la farina… In mezzo alla stanza c’era un grosso tavolo i cui bordi rialzati impedivano alla farina di cadere a terra; c’erano anche assi su cui venivano appoggiate le forme di pane; la temperatura dell’ambiente dove si lavorava l’impasto doveva essere elevata per la lievitazione del pane e gli ingredienti utilizzati (lievito, acqua, farina) dovevano essere di qualità.
L’acqua, come dicevano gli anziani, doveva essere acqua di torrente, senza calcare, che rallenta la fermentazione; il lievito, che era prodotto naturalmente mescolando acqua e farina di segale, veniva riposto su un piatto, nella stalla, affinché fermentasse e si trasformasse. Ad ogni infornata, si metteva da parte un po’ di pastone di questo lievito affinché si conservasse da un anno all’altro.
Fondamentale poi, per l’approvvigionamento di tutto l’anno, era l’essicazione dei pani che erano conservati nel fienile sulle rastrelliere appese ai travi.
Nella frazione di La Saxe, a Courmayeur, il forno, di proprietà del consorzio “Société du four de La Saxe” (Società del forno di La Saxe), è ancora attivo grazie alla volontà di alcune famiglie. Verso l’inizio del mese di dicembre, si dedica una giornata per scaldare il forno e, a turno, un’altra per preparare, lavorare e cuocere l’impasto.
Dopo aver lavorato i pani, durante l’attesa per la lievitazione, il grande tavolo in legno viene ricoperto di generi alimentari : fontina, formaggio, salami, vino e, come una volta, ci si ferma a parlare e a scherzare.
Oggi la panificazione nei forni tradizionali, rispetto al passato, pare essere nonostante tutto in ripresa: ciò non avviene per necessità, ma per la volontà di salvaguardare le proprie tradizioni e i propri saperi. In varie località della regione, infatti, si è assistito a un risveglio d’interesse, che ha visto un riutilizzo concreto di questi forni.