Le nuove generazioni. In questa sede ci occupiamo dei giovani, i maniera specifica dei bambini, in quanto dei ragazzi e delle ragazze, di coloro che manifestano tutti i sintomi dell'età adolescenziale, in preda alle pulsioni giovanili, se ne è già parlato in occasione della "Parola del mese" dell'agosto 2016. Occorre tuttavia precisare che non soltanto i giovani manifestano turbamenti propri della loro età, ma anche le persone di una certa età spesso vivono un ritorno agli anni verdi.
Mèinà, mèinoù, minà, minoù.... sono i termini più correnti per tradurre l'italiano "bambini", anche nel significato di "figli": sono voci che derivano dal latino mansio (attraverso la forma mansionata), che significa "casa", poi "insieme dei membri di una famiglia (basti pensare al "casato"), e poi "bambini". La parola majón, mèizón "casa" o "cucina", ha la stessa origine, come l'italiano "magione" o il francese "maison". Un bambino appena nato, appena sfornato, o, secondo un modo di dire, non ancora asciutto dietro le orecchie, è un popón, un "pupo", un "bebè": il termine deriva dal latino pupus "bambino", ma secondo altri occorre risalire a *puppa, che vuol dire "bambino", ma anche "poppa, mammella" e "pupa, bambola". Un altro tipo lessicale corrente è petot, petoda, dal latino *pettittus che significa "piccolo" (invece petchoù e petchouda, secondo il FEW, sono i continuatori di una base pitš-, "piccolo"), come croi, crova, dal celtico *crodios, con lo stesso significato; altri patois si servono invece di parole più francesi, come gosse e anfàn. I bambini crescono e diventano canaille, lett. "canaglie", dal latino canis, "cane", come si dice a Champorcher, e in questo caso non si tratta di una brutta parola, ma di un modo di dire molto diffuso in area galloromanza, come termine affettivo e giocoso per un bambino. Altrove, nella fattispecie in Bassa Valle, i bambini sono chiamati boffe. Altri modi per indicare i bambini sono barbich è bardats, termini confinati in un guppo esiguo di parlate. Barbich si spiega verosimilmente attraverso il latino barba, "barba": barbis del piemontese, ma anche di certi patois, significa "baffi", barbiche del francese "ciuffi di peli sul viso", e barbichon in Savoia è un giovanotto a cui inizia a spuntare la barba. Si può dunque ipotizare che un barbich sia un bambino imberbe, uno sbarbatello, o un ragazzino a cui inizia a spuntare la barba. Per bardats occorre risalire all'arabo bardag "giovane schiavo, prigioniero", che è anche all'origine di bardasso, bardassa, dell'italiano regionale, come del piemontese, con lo stesso significato del patois, mentre nell'italiano standard possiede una connotazione negativa. Botcha, che attualmente si usa spesso anche in Valle d'Aosta per designare un bambino, sembrerebbe un prestito dal piemontese, ma esiste anche il gioco delle bocce che è tutt'altra cosa. Botcha, secondo il REP, deriva da una base prelatina, bokky-, "corpo di forma tondeggiante", veicolato dal latino volgare *bocciam, "rotondità". Secondo un'interpretazione, ma ne esistono altre, botcha è passato a significare anche "testa" e da qui "bambino" per questa ragione: un tempo, quando i pidocchi proliferavano, si usava rasare la testa ai giovani in servizio di leva e ai bambini, che veniva per questo associata scherzosamente a una boccia. Anche le reclute, nel corpo degli alpini, venivano chiamate bocia (bocia e veci, "giovani" e "anziani"). Tchit è un nome che si dà ai pastorelli in alpeggio: anche in questo caso è ravvisabile un nesso con il piemontese cit che significa "piccolo" e "bambino": secondo il REP, il termine è riconducibile a una base espressiva *citt-, "piccolo". Nel gergo degli spazzacamini di Rhêmes si usa marmeun per "bambino" e marmin-a per "bambina", termini che paiono della stessa famiglia del francese marmot, "piccolo bambino", e del patois maraya o marmaya, secondo il dizionario di Chenal e Vautherin "frotta di bambini rumorosi", da una base marm- di probabile origine onomatopeica a imitazione di un mormorio. Nel gergo dei segatori d'assi e dei sabotier d'Ayas, i bambini sono i clèino, dal tedesco klein, "piccolo". Parlando della discendenza di qualcuno, i figli dei figli sono i rèféi, i rimèinà, gli arimèinà, i remèinà o i rigarsón e i pronipoti sono il réenevaou e la réenevaouza. L'ultimo nato di una famiglia è il gnaille (o l'ultimo schiuso di una covata), dal latino *nidalis che è l'uovo che tradizionalmente si lascia nel nido delle galline; altre parlate utilizzano altri termini come tchouèiné, queinì, tchouàn e, a Cogne, lo chiamano tchachacouquén.
Bibliografia e sitografia.
- Atlas des Patois Valdôtains, in corso di redazione presso il Bureau Régional Ethnologie et Linguistique della Regione Valle d'Aosta.
- Chenal A., Vautherin R., Nouveau Dictionnaire de Patois Valdôtain, Quart, Musumeci, 1997.
- FEW = Von Wartburg W., Französisches Etymologisches Wörterbuch, Leipzig-Berlin, 1922 ss., poi Basel, 1944 ss.
- Martin G., Les ramoneurs de la Vallée de Rhêmes, Quart, Musumeci, 1981.
- REP = Repertorio etimologico piemontese, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2015.
- www.patoisvda.org