Autunno: le giornate si accorciano, gli alberi si tingono di colori spettacolari, la natura si prepara ad affrontare il lungo inverno, insieme a tutti gli esseri viventi. L’autunno, infatti, è tipicamente la stagione della raccolta e, in particolare, di alcuni tra i più apprezzati frutti della terra e della fatica umana. Stiamo parlando della vendemmia, coronamento finale di un lavoro che tiene impegnati i viticoltori durante praticamente tutto l’anno.
La viticoltura ha origini antichissime in Valle d’Aosta. Secondo alcuni studi, è probabile che già in epoca pre-romana si coltivasse la vite: ne sono testimoni i resti d’anfora ritrovati nella necropoli di Saint-Martin-de-Corléans ad Aosta datati intorno al V sec. a.C. Tra il V e l’XI secolo, vennero poi introdotte e selezionate le varietà tradizionali.[1]
Negli ultimi decenni, i vini locali hanno acquisito un tale prestigio che molti amatori hanno ripreso a coltivare i piccoli filari di proprietà, che erano stati per anni abbandonati.
Cominciamo, dunque, il nostro viaggio di scoperta dei termini relativi a questo mondo, a partire dalla pianta della vite, arbusto rampicante della famiglia delle Vitaceae. Nelle varietà francoprovenzali valdostane, le parole per denominarla appartengono, principalmente, a due tipi lessicali.
Il primo è riconducibile all’etimo latino vitis, lo stesso che ha dato origine all’italiano vite e al francese antico viz.[2] I diversi risultati dei nostri patois sono accomunati, più che altro, dalla palatalizzazione più o meno marcata della consonante dentale -t-. Per fare qualche esempio, troviamo viche (Courmayeur); vihe (Rhêmes-Saint-Georges); vis, vise, visse in moltissime località ( Antey-Saint-André, Aymavilles, Challand-Saint-Victor, Cogne, Introd ecc.); vits (Ayas e Brusson).
Il secondo tipo è più particolare ed è rappresentato da mayola (Arnad, Issogne), mayoula (Champorcher), mayoa (Perloz). Gli stessi termini sono, spesso, utilizzati in Bassa Valle anche per indicare i viticci, dalla caratteristica forma avvitata che ha ispirato la creatività dei parlanti: a Champdepraz, per esempio, si dice éhte stort comme na mayola (essere storti come un viticcio). L’origine del termine è da attribuire al latino maius, maggio, che ha prodotto nelle lingue romanze innumerevoli risultati con significati anche lontanissimi tra loro, ma appartenenti in qualche modo al campo semantico della fioritura, del germogliare, dell’inizio di una vita.[3]
Il prezioso frutto della vite, l’uva, in Valle d’Aosta è chiamato con i derivati del latino racemus, in origine “grappolo di uva”.[4] Solo per fare qualche esempio interessante dal punto di vista fonetico, possiamo citare rirén (Saint-Marcel), rouijén (Courmayeur), rujeun (Saint-Vincent). Il grappolo viene indicato, generalmente, con il termine rapa/rappa, mentre per denominare l’acino, invece, si usa comunemente il termine generico gran/grana .
Per quanto riguarda le qualità di vitigni coltivati tradizionalmente nella regione, le varietà sono molte. Tra quelle autoctone, abbiamo il bonda, il cornalin (cornalèn, cornaleun), la crovassa, il fumin (femèn), il mayolet (mayolè, mayolé, con la stessa origine della mayola prima citata), il petit rouge (petchoù rodzo), il ner d’ala, il neyret (nèiret), la premetta, il roussin (roussèn, rousseun), il vouayar, il prié (priyì), il vien de Nus (vièn de Nus) e il Vuillermin.[5]
In Valle, il sistema tradizionale di allevamento della vite è quello della pergola, la toupie, topia in patois. Si tratta di un termine che ci arriva dal latino topia, a sua volta di origine greca, che si è tramandato quasi esclusivamente nell’Italia nord-occidentale e nelle aree francoprovenzali e occitane in Italia e in Francia (nonché nell’enclave occitana di Guardia Piemontese in Calabria). L’etimo aveva il significato particolare di “giardino ornamentale”.[6] In effetti, i meravigliosi terrazzamenti che ancora oggi caratterizzano il paesaggio di molte località della vallata centrale, e sono testimonianza della cosiddetta “viticoltura eroica”, hanno un valore estetico innegabile, andando a creare un connubio perfetto tra natura e intervento umano. La viticoltura nella nostra regione, in tutti suoi aspetti agricoli e culturali, è senza dubbio un patrimonio da conservare e trasmettere alle prossime generazioni.
Concludiamo questo breve excursus con due antichi proverbi relativi alla festa di San Martino, l’11 novembre. Il santo, vissuto nel IV secolo, per via dell’attribuzione di una trasformazione dell’acqua in vino è diventato il patrono dei viticoltori, dei vendemmiatori e persino degli ubriachi!
A la Sen Marteun, toppa la bosse é tata ton veun
A la Saint-Martin, bouche le tonneau et tâte ton vin
A San Martino, tappa il barile e assaggia il tuo vino
A la Sen Marteun, bèi lo bon veun é lèicha l'éve pe lo moleun
A la Saint-Martin, bois le bon vin et laisse l'eau pour le moulin
A S. Martino, bevi buon vino e lascia l'acqua per il mulino
[1] http://www.cervim.org/valle-d-aosta.aspx
[2] VON WARTBURG, W. (1922 ss.). Französisches Etymologisches Wörterbuch (FEW). Bâle: Zbinden. Vol. XIV, 557a e ss.
[3] VON WARTBURG, W. (1922 ss.). op. cit. Vol VI/1 61a e ss. e FAVRE, S. (2019). Le mot du mois : Le mois de mai. http://www.patoisvda.org/gna/index.cfm/nouvelles-guichet-linguistique-patois-vallee-d-aoste/le-mot-du-mois-le-mois-de-mai.html
[4] VON WARTBURG, W. (1922 ss.). op. cit. Vol. X, 11b e ss.
[5] Vitigni della Valle d’Aosta http://www.docvalledaosta.it/vitigni e BELLEY, S. (2007). Viticulture et vinification à Aymavilles. Une enquête ethnolinguistique. In : Nouvelles du Centre d’Etudes Francoprovençales R. WIllien. n. 56/2007. 29-36
[6] VON WARTBURG, W. (1922 ss.). op. cit. Vol XIII/2 36a e MALASPINA, E. (2013) Topia = «pergolato»? Dai dialetti romanzi al latino. In: BALDO, G. e CAZZUFFI, E. (a cura di) Regionis forma pulcherrima. Percezioni, lessico, categorie del paesaggio nella letteratura latina. Atti del Convegno di studio, Palazzo Bo, Università degli studi di Padova, 15-16 marzo 2011. BIBLIOTECA DELL’ «ARCHIVUM ROMANICUM». Serie I: Storia, Letteratura, Paleografia, 415. Firenze: Leo S. Olschki. 243-274