La lingua comunemente impiegata dai Valdostani, dagli abitanti della Svizzera romanda, dai Savoiardi e dalle popolazioni di alcune vallate del Piemonte occidentale, è stata per diversi secoli, e lo è ancora oggi, anche se in misura più limitata, il patois.
Questa lingua è a tutt'oggi l'elemento identitario più forte, il filo rosso che unisce le comunità che si sono insediate attorno al Monte Bianco. Spesso il termine patois è diventato sinonimo di dialetto, di parlata vernacolare, anche se si tratta di una vera e propria lingua con delle caratteristiche specifiche. La parola, la cui etimologia è la stessa di "patte" (zampa), indica in effetti, all'origine, una parlata grossolana, rurale, impiegata da una popolazione poco numerosa, il cui livello di civilizzazione è giudicato inferiore rispetto a coloro che utilizzano la lingua in uso.
Per questa ragione, in Valle d'Aosta, a partire dagli anni '70, con la nascita dell'Harpitanya (movimento che aveva, come propria finalità, quello di ricostituire l'antica patria del francoprovenzale), alcuni hanno proposto degli appellativi alternativi come valdostano, arpitano (abitante della Alpi), grayèn (lingua delle alpi Graie) o, ancora, francoprovenzale, denominazione erudita utilizzata nell'ambiente scientifico. Queste varianti non hanno avuto successo: la parola patois ha perso attualmente ogni connotazione negativa. Per coloro che parlano patois non ha più nessuna accezione peggiorativa, al contrario ha assunto un significato affettivo, è la "lingua del cuore" dei Valdostani. Le generazioni che ci hanno preceduto hanno sempre parlato patois e noi continuiamo a parlare patois!