Cerca

Dizionario

Contenuti del sito

Multimedia

Testi in patois

Documenti

Maura Susanna

Il rapporto che ho con il patois è un rapporto intimo: è la mia lingua del cuore

Ho iniziato a parlare patois abbastanza tardi...

perché mio padre, anche se era nato qui, in Valle d’Aosta, a Villeneuve, parlava friulano. Mia madre, con la nonna e tutte le zie, parlava patois e allora siamo giunti a un compromesso. All’epoca, era convinzione che non si dovesse parlare patois ai bambini altrimenti avrebbero incontrato difficoltà a scuola così in casa mi hanno sempre parlato italiano, ma io il patois l’ho sempre sentito dalla nonna che parlava con la mamma, con le zie, con tutti; con me parlavano italiano, ma io capivo tutto quel che si diceva in patois. Ho iniziato a parlarlo con il teatro popolare La Véyà di Châtillon; avevo timore, molto timore di parlarlo per paura di sbagliare. In seguito ho accantonato il timore ed ho iniziato ad esprimermi in patois; c’è da aggiungere che in casa, con la mamma, discorrevo in patois ed anche con Ricco che non era propriamente mio nonno bensì il marito di mia nonna. C’è un po’ di confusione in famiglia : parlo italiano con gli uni, patois con gli altri, patois con le mie cugine e… italiano con mio fratello.

Il rapporto che ho con il patois è un rapporto intimo, è una cosa che ho sempre ascoltato, il suo suono mi è entrato nella testa e sento ancora la voce di mia nonna che parla con me. È la mia lingua del cuore. Per me è così.

Ho iniziato a scrivere testi in patois...

perché ci sono concetti che non puoi esprimere in un’altra lingua. Ci sono dei modi di dire incredibili. Se dico ou caro de la pertse (letteralmente : in fondo al filare) come ne traduco il senso in italiano? È difficile. Ci sono espressioni che esistono solo in patois. Scrivo anche in italiano, ma non ho mai scritto in francese. Non è nelle mie corde. Da sempre scrivo testi di canzoni. Per anni ne ho composti tantissimi e poi ho buttato tutto quanto nella stufa perché non mi andava di farli leggere, ne avevo timore. Scrivere canzoni vuol dire tirar fuori ciò che si ha dentro, quasi spogliarsi. Non mi piace parlare di me stessa. Nei miei testi narro spesso dell’amore nelle sue centomila sfaccettature : l’amore per la propria terra, per una persona, per la lingua e poi c’è anche il lato sociale che è molto interessante.

Ho cantato per la prima volta in pubblico...

con il gruppo di teatro La Véyà. Ero talmente timida che cantavo dietro le quinte, non sono mai uscita se non quando mi chiamavano per le presentazioni. La mia timidezza mi ha tagliato notevolmente le gambe. Anche adesso, anche se non ci si crede, permango timida. Arrossisco come i papaveri.

Mi è successo di tradurre in patois testi di altri, vuoi perché mi piaceva la melodia, vuoi per i testi che meritavano di essere tradotti nella lingua che più mi è vicina. Tot i tsandze, Todo cambia è una di quelle canzoni che ho voluto tradurre, senza tradire, soprattutto.

Il genere di pubblico che viene ad ascoltarmi? C’è una grande varietà. Ai miei concerti ci sono gli affezionati che amano la mia voce e ciò che propongo. Abbraccio un pubblico variegato : dai giovani che si interessano alla cultura, alla musica, fino agli anziani… un po’ di tutto.

Ora come ora non ho molte occasioni per cantare. Sono occupata diversamente. Ogni tanto mi viene l’ispirazione e scrivo un pezzo su dei foglietti che lascio ovunque, nei cassetti, chissà, un giorno usciranno tutti e magari ce la farò a realizzare un altro CD. Comunque uno è già pronto, anche se non ancora edito.

photo-3_8101_l.jpg

Ho avuto occasione di avere scambi...

 con altri interpreti, con altre lingue quando si organizzava La rencontre des peuples minoritaires : ho cantato in corso, in bretone, ho cantato in lingue limitrofe con Valeria Tron che è una cantautrice che scrive i suoi testi nel patois di una valle del Piemonte, quando in Valle d’Aosta si presentavano parecchie occasioni interessanti per farlo, molto più di quanto succeda oggigiorno, per ora. Cantare non è la mia professione : sono felice quando lo faccio, ma non mi dispero se non lo faccio.

maura-lilli-venso_8102_l.jpg